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Nuovo, vero e divino: la recensione di Shin Godzilla

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Disclaimer: questo è un pezzo molto lungo. Godzillesco.

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Godzilla nasce in Giappone nel 1954, dall’urgenza di raccontare l’orrore dei bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, avvenuti appena nove anni prima, e dall’idea bislacca di farlo cavalcando la moda del monster movie americano. Nei 62 anni che sono seguiti, questo adorabile lucertolone troppo cresciuto è diventato un’icona del Giappone moderno, uno dei suoi simboli più caratteristici e più immediatamente riconoscibili. Tra il ’54 e oggi, Godzilla — o Gojira, se volete fare colpo sulle ragazze sfoggiando familiarità col giapponese e conoscenza filologica della tradizione kaiju-eiga — è comparso, quasi sempre da protagonista, in 31 film e una quantità veramente difficile da calcolare di videogiochi, fumetti, romanzi originali e novelization, telefilm, giochi da tavola, serie animate, video educativi (!!!), spot pubblicitari e canzoni dei Blue Oyster Cult; più un numero ancora maggiore di camei più o meno ufficiali, dovuti all’iniziale elasticità da parte della Toho, la compagnia giapponese che ne detiene i diritti, nella protezione della loro proprietà intellettuale. Io, per esempio, per motivi che la scienza ancora non sa spiegare, non riesco a cancellare il ricordo di un episodio in cui Godzilla incontrava l’incantevole Creamy.

Ma essere contemporaneamente il re dei mostri e della cultura pop giapponese non è facile e, forse proprio per via di questa sovraesposizione mediatica, sul finire del XX Secolo Godzilla non se la passa benissimo. Il film americano del 98, prodotto dalla Tristar e diretto da Roland Emmerich, che avrebbe dovuto rivitalizzare il franchise e aprire le frontiere al mercato estero, è così brutto da spingere la Toho ad abortire il progetto iniziale che prevedeva una trilogia (!) e revocare alla Tristar il permesso di chiamare il proprio mostro “Godzilla”, di fatto bandendolo ufficialmente dal canone; contemporaneamente, i film che vengono sfornati a manetta in Giappone soffrono di una logica del rialzo che esige a ogni nuova pellicola un numero sempre maggiore di mostri e trovate strampalate: arrivati a Godzilla: Final Wars del 2004, che celebra il cinquantennale della saga con una mega reunion che riporta in scena tutti i kaiju mai comparsi fino a quel momento (compreso il tanto vituperato Godzilla americano e altre robe persino peggiori tipo Minilla, il figlio di Godzilla), la Toho ha ufficialmente finito le idee e così fa demolire gli studios e dichiara solennemente che non realizzerà più un film su Godzilla per almeno 10 anni.
Passano 10 anni e nel 2014 esce effettivamente un nuovo film su Godzilla, di nuovo degli americani, questa volta la Legendary Pictures, che affida la regia all’esperto di mostri Gareth Edwards e sforna, non mi importa cosa pensate, una discretissima bombetta. Il successo della pellicola è tale che anche il Giappone ritrova fiducia nel franchise e decreta che il fatto di aver concesso i diritti su Godzilla alla Legendary non vieta loro di farne uno nuovo per i fatti propri, slegato dalla continuity americana (il Godzilla di Edwards, per chi non lo sapesse, fa parte di un universo espanso stile Marvel Movies che comprende anche King Kong e proseguirà, ovviamente, con un mega-scontro tra i due mostri).

Ma dopo 10 anni di silenzio e lo scorno di aver visto proprio gli odiati rivali americani ridare popolarità su scala mondiale al genere (abbiamo parlato di Godzilla di Edwards, ma è merito soprattutto di Pacific Rim se all’improvviso tutti sappiamo cos’è un kaiju), la Toho deve spararla altissima per recuperare l’onore perduto, e una cosa tira l’altra va a finire, nell’incredulità generale, che il nuovo film di Godzilla lo fa Hideaki Anno, il regista di Neon Genesis Evangelion.

Per chi fosse sprovvisto di un’infarinatura al riguardo: Evangelion, in Giappone, è una cosa piuttosto grossa. È un cartone animato — noi che amiamo fare colpo sulle ragazze lo chiamiamo “anime” — di robottoni che nel 1995 ha abbastanza cambiato tutte le carte in tavola per quel che riguarda l’animazione e il PIL del Paese.
Inutile in questa sede esprimere giudizi qualitativi (tanto si sa che il mondo si divide in due categorie: quelli a cui piace Evangelion e quelli che hanno torto), ma per fare un esempio con qualcosa di più famigliare: è come Star Wars, solo di più, perché i giapponesi devono sempre alzare di una tacca l’asticella dell’isteria collettiva. In Giappone Evangelion è una cosa che tutti conoscono, anche se non l’hanno mai visto, perché è ovunque: in tv, al cinema, nei centri commerciali, nei ristoranti, sui treni, ha una catena di negozi dedicati, linee di vestiti, un parco dei divertimenti a tema… Avete presente quando l’anno scorso in giro si trovavano pure le arance brandizzate “Il Risveglio della Forza”? Con Evangelion è così, solo tutto l’anno, tutti gli anni, dal 1995.

Questo è un palazzo nel quartiere di Akihabara a Tokyo; un’intera facciata è occupata da Evangelion, ma al momento non sta promuovendo niente: non c’è un nuovo film in uscita, un videogioco o altro. È lì e basta, perché è Evangelion, e Evangelion vende. Sempre.

Il che ci porta al suo creatore, Hideaki Anno, che a vederlo sembra il tipo che se ti si siede vicino in treno cambi treno, e invece è grossomodo il Woody Allen dell’animazione giapponese, ma senza storiacce di molestie sessuali.
In un sistema in cui è difficile che gli autori di anime diventino delle celebrità, principalmente perché sono degli otaku imbranati e oberati dal lavoro, Anno gode di una popolarità davvero inusuale, sia per l’importanza delle sue opere, sia per il suo carattere notoriamente schivo e i suoi comportamenti eccentrici, amplificati dalla quantità di parodie e auto-parodie che lo vedono protagonista. Proprio come Allen, Anno è un regista che ha finito per diventare egli stesso un personaggio della cultura pop, e ora è assieme ad Hayao Miyazaki uno dei nomi più famosi e più spendibili a livello nazionale e internazionale. Il fatto che fosse coinvolto in un progetto su Godzilla è stata una notizia sufficiente a fare un bel po’ di rumore quando ancora il film era solo un’idea.

Hideaki Anno, come compare nel cartone animato su di lui. Perché ovviamente c’è un cartone animato su di lui.

Quella della Toho è una mossa furba innanzitutto a livello di marketing (ci interessa poco, ma tutta la promozione del film sarà costruita attorno a un crossover immaginario tra Godzilla ed Evangelion), ma non campata per aria. Anno è la persona giusta per questo lavoro per una quantità di motivi, uno dei quali l’aveva indovinato il mio collega George Rohmer 2 anni e mezzo fa. Parlando del Godzilla originale, quello del 54, e della filosofia sottesa all’intero genere, George scriveva:

Per capire Godzilla e la sua parabola all’interno della storia del cinema, bisogna partire dalla tradizione mitologica giapponese [che] fonde suggestioni shintoiste e buddhiste e postula che ogni singola entità sulla faccia della terra abbia un’anima. […] Ne consegue un rispetto e una devozione nei confronti della Natura tutta che non ha paragoni nella nostra cultura. Questo concetto, per dire, è alla base di tutta la filmografia di Miyazaki e, non stupitevi, anche di quella di Godzilla. Tiè, beccatevi anche ‘sta connessione tra Miyazaki e Godzilla. Non ve l’aspettavate, eh?

Una connessione insospettabile due anni fa, ma quanto mai puntuale oggi, considerato che Anno è il pupillo di Miyazaki, si è formato sotto di lui allo studio Ghibli, i due sono notoriamente amici di bevute e, per quanto le loro opere siano agli antipodi esteticamente e per i temi trattati, hanno alla base idee estremamente simili: chi meglio del successore di Miyazaki, per raccontare una storia che, a ben guardare, ha molto di miyazakiano?

BFF

Nonostante la fiducia che gli si concede a prescindere, Anno è comunque un quasi esordiente del genere live action (prima d’ora ha girato solo tre film con attori in carne e ossa, tutte e tre le volte cosette modeste e a bassissimo budget) e così la Toho gli affianca col ruolo di co-regista Shinji Higuchi, amico di vecchia data (suo) e uomo di fiducia (loro). Higuchi è un membro storico della Gainax, lo studio fondato da Anno negli anni 80, e dopo essersi fatto le ossa e la storia dell’animazione lavorando a Evangelion, si è ritagliato un angolino tutto suo nella cinematografia giapponese come esperto di effetti speciali nei film dal vivo: ha già in curriculum, tra le altre cose, 2 film di Godzilla e 3 di Gamera.

Insomma, il genio visionario ma con poca esperienza e il bravo artigiano che la sa lunga su mostri ed esplosioni giganti, un dream team con tutte le carte in regola per spaccare tutto e un interessante precedente. Proprio Anno e Higuchi, nel 2012, avevano girato un corto che può essere considerato il banco di prova di Shin Gojira: realizzato per il museo Ghibli (di fatto è una sorta di prologo apocrifo di Nausicaa) e, con abile mossa pixariana, proiettato nei cinema giapponesi prima del terzo film della nuova saga cinematografica di Evangelion (a cui entrambi avevano lavorato), “Giant God Warrior Appears in Tokyo” è una bizzarra commistione di animazione stop motion, CGI e riprese dal vivo che racconta con tutti i topoi del kaiju-eiga la distruzione di Tokyo a opera di un esercito di mostri giganti.

Già in questo giochino senza pretese risalta l’equilibrio perfetto tra lo sguardo autoriale e il divertimento di due appassionati, e non è difficile immaginare che sia stato proprio questo corto ad attirare l’attenzione degli addetti ai lavori, a farli scommettere su questa coppia di nerd.

L’autore Hideaki Anno in procinto di distruggere Tokyo

È una scommessa vinta?
Dopo ‘sto papiro di premessa, è ovvio che sì. Decisamente. Lo Shin Godzilla di Anno e Higuchi supera le aspettative e regala un kaiju movie moderno e allo stesso tempo fedele alla tradizione, che non sfigura in mezzo ai suoi predecessori e non ha nulla da invidiare a quello di Edwards. È anche, tipo, il più grosso incasso giapponese del 2016, ma di questo ci importa poco, un po’ perché è volgare parlare di soldi e un po’ perché i giapponesi comprano qualunque cosa per cui ogni nuovo film è il più grosso incasso giapponese del 2016.

La trama, in breve: un mostro gigante inizia a distruggere Tokyo, non è mai successo niente di simile prima d’ora (questo è un reboot che non tiene conto dell’originale del 54; nell’universo di Shin Gojira, inoltre, evidentemente, non esistono i film su Godzilla) e il Governo non sa che fare. Arrivano gli americani e loro invece sanno sempre cosa fare: sganciare una bomba atomica. Parte così la corsa contro il tempo di un gruppo di coraggiosi burocrati per trovare una soluzione alla crisi prima che l’esercito USA nuclearizzi il Giappone per la terza volta.

Stilisticamente, Shin Gojira è praticamente un episodio di Evangelion in live action. In molti per descriverlo hanno detto “è come se un Angelo attaccasse Tokyo, solo che non c’è un Eva a fermarlo” e non è che sia indispensabile alla comprensione del film, ma è evidente come Anno e Higuchi si siano divertiti ad autocitarsi in un gioco di rimandi in cui la serie rivoluzionaria degli anni 90 è ormai un classico consolidato e può essere tranquillamente presa a modello per rifare il look a un genere nato negli anni 50. Si tratta di schemi narrativi simili, di una certa iconografia che si ripete, ma ci sono almeno un paio di scene in cui Anno ha letteralmente ricopiato la composizione dell’inquadratura dai primi episodi di Eva. Questo perché tutte le volte che lo intervistano su Evangelion la sua risposta standard è “basta, che palle, non ne posso più, voglio fare qualcosa di diverso”.

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Una scena dal primo episodio di Neon Genesis Evangelion.

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Qualcosa di diverso.

A rinforzare il senso di déjà vu ci si mette la colonna sonora di Shiro Sagisu, compositore anche lui legato da sempre allo studio Gainax e a Evangelion, che apre con sonorità che assomigliano a quelle di Eva per poi sbracare completamente e usare come tema portante il riarrangiamento di una traccia che appartiene a Eva.
Ciliegina sulla torta, chi chiami a fare il design del nuovo Godzilla se non un altro superamico dello studio Gainax? Mahiro Maeda ha lavorato a Evangelion (praticamente è suo il design degli Angeli) e a diversi film dello Studio Ghibli, ma ciò per cui è veramente famoso sono le sue incursioni in Occidente, con i due episodi di Animatrix e il capitolo in stile anime sul passato di O-Ren in Kill Bill vol.1. (Progetti futuri? A meno che non lo cancellino di nuovo, il film di animazione su Furiosa di Mad Max!) Il suo Godzilla è imponente, alieno come non mai, spaventoso ma al tempo stesso “malato”, perché avvelenato dalle radiazioni e perciò sofferente; in patria hanno apprezzato soprattutto per come coniuga suggestioni moderne con l’inspiegabile, nostalgica fascinazione dei giapponesi per l’attore con la tutona in mezzo ai palazzi di cartapesta.

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Nel 2014 Gareth Edwards aveva colto molto bene l’essenza del kaiju-movie, il suo Godzilla, maturo e crepuscolare, era un’interpretazione assolutamente valida del canone, ma aveva un limite. Quello di Edwards è pur sempre un film americano e per definizione gli americani non possono sfuggire alla tentazione di schierare buoni contro cattivi, è una cosa che hanno nel DNA: Godzilla è sì praticamente un dio, è sì qualcosa che sfugge alle classificazioni e alla comprensione degli esseri umani, ma nell’economia del film si sveglia per ripristinare un equilibrio, esiste per dare la caccia e sopprimere due mostri peggiori, più pericolosi di lui. L’umanità è spettatrice e vittima collaterale di una forza della natura, ma una natura giusta, equa, “buona”.
Anno, Higuchi e Maeda superano anche questo scoglio e danno vita a un Godzilla che è finalmente veramente oltre qualsiasi concetto di bene e male.

Il titolo stesso è una dichiarazione di intenti, da brava lingua da matti che è il giapponese, la parola “shin” ha almeno tre significati diversi, “nuovo”, “vero” e “divino”, e il modo in cui è scritto è scelto appositamente per preservare questa ambiguità, sottintendendo che sono tutti e tre ugualmente legittimi. Shin Gojira è un reboot totale e un ritorno alle origini, che fa piazza pulita degli elementi più bambineschi della saga (alieni buffi, prese di wrestling e kaiju meccanici) per tornare alle riflessioni sul Giappone contemporaneo, quale che sia la contemporaneità in cui è ambientato il film. Se il Godzilla degli anni 50 era figlio dei bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki, in quello del 2016 riecheggiano in maniera lampante il terremoto del 2011 e il disastro di Fukushima. La paura è il sentimento dominante — ogni volta che Godzilla muove un passo la terra si spacca, il mare si alza e l’aria diventa radioattiva — ma questa volta al registro dell’orrore si affianca gradualmente, e in certi momenti prevale sfacciatamente, quello della satira.

Chiunque sostenga che è un film nazionalista, che “celebra la gloria e l’efficienza del Giappone”, deve averlo visto senza sottotitoli o solo gli ultimi 10 minuti, perché Shin Gojira è prima di tutto una satira ferocissima del Giappone contemporaneo, del suo apparato burocratico ridicolmente complicato e della sua classe politica formata da individui pavidi e incapaci di prendere una decisione.
Come da tradizione, anche in Shin Gojira c’è “pochissimo” Godzilla, perché il grosso dello screentime è occupato da un esercito di impiegati statali che passa l’intero film a indire riunioni, nominare responsabili, formare commissioni e sottocommissioni, spostarsi dalla sala riunioni A alla sala riunioni B, interrogare esperti che però rifiutano di sbilanciarsi, discutere (in questo film si parla tantissimo!), votare e scaricarsi l’un l’altro le responsabilità mentre le gente muore e le città vengono rase al suolo.

In uno degli scambi di battute più significativi di tutto il film, all’agente del governo americano (interpretata dall’attrice molto poco americana Satomi Ishihara) viene chiesto cosa intendono fare gli USA con Godzilla casomai riuscissero a catturarlo; lei senza esitare risponde che la scelta spetta al Presidente, dopodiché ribatte “da voi invece chi prende le decisioni?”. La domanda cade nel vuoto.

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Attenzione, però: i grigi burocrati elevati a rappresentanti del Giappone intero (essendo gli unici personaggi con battute e una caratterizzazione) non sono da biasimare perché non corrispondono all’idea di “eroe” secondo i canoni hollywoodiani — forti, risoluti, pronti a sparare prima e fare domande poi. Non sono neanche così incompetenti e in linea di massima sono animati da buone intenzioni, la loro colpa — e qui vediamo davvero quanto di Miyazaki ci sia nella poetica di Anno — è di essere persone senza immaginazione, senza fantasia. La loro sconfitta è nel non sapere come reagire di fronte a un imprevisto, nell’andare in crisi ogni volta che si trovano ad affrontare una circostanza per la quale non esiste un libretto di istruzioni.

Godzilla è, da sempre, il simbolo della natura che “si ribella”, ma questa volta il concetto assume un significato ulteriore: è la natura che si ribella per dare una sonora, doverosa scossa a un’umanità che ha perso il contatto con la realtà (c’è una scena in cui di fronte a Godzilla che avanza verso il centro di Tokyo lasciandosi dietro una scia di palazzi sventrati, un politico suggerisce di non fare nulla, che “magari se ne va via da solo”!). L’altro concetto centrale in ogni film ben riuscito di Godzilla è che l’uomo è il peggior nemico di sé stesso, in questo caso anche perché si autoboicotta attraverso un sistema folle di regole scritte e non scritte che premiano l’inerzia, mirano alla conservazione dello status quo e puniscono chi non si conforma.

Ma “l’uomo è il nemico dell’uomo stesso” è un mantra che riassume efficacemente anche tutta la filmografia di Hideaki Anno (se avessi un centesimo per ogni volta che il concetto viene reiterato in Evangelion, ora avrei 26 centesimi) e acquista un valore persino più sinistro nell’enigmatica inquadratura che chiude il film (SPOILER). Di cosa è fatto veramente Godzilla? Forse lo scopriremo nel prossimo film, forse no. Trovare una risposta non è indispensabile, quel senso di ineffabilità basta a sé stesso; Shin Gojira è anche questo, l’impossibilità di dare un senso, una risposta, una spiegazione coerente a, beh, un cazzo di dinosauro mutante emerso dal mare che abbatte i palazzi e sputa fuoco radioattivo.

Con quella faccia un po’ così

DVD-quote

“Godzilla è tornato. Godzilla non se n’è mai andato.”
Quantum Tarantino, i400calci.com

>> IMDb | Trailer


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